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Almamegretta: Tour 2018 della band napoletana

Un nuovo live set con radici napoletane fino all’universale : commistione di lingue, ritmi, culture e un suono mixato tra analogico e digitale.

Gennaro T. , batterista e fondatore della famosa band partenopea, Almamegretta, mi concede un’intervista qualche giorno prima del primo concerto al Santomate Live Club di Pistoia del Dub Box.

Un nuovo live set con radici napoletane fino all’universale: commistione di lingue, ritmi, culture e un suono mixato tra analogico e digitale, tra elemento umano e macchina.

L’intervista

Cominciamo dall’ultimissima produzione vostra.

È uscito l’EP di quattro brani, il 23 marzo, “Dub Box Vol. 1 – One world“, in digitale scaricabile dal web. Pezzi già editi, affidati a giovani produttori che ne hanno fatto una loro versione remix. Uno si chiama “Fattalà”, sai cosa significa, fatti più là, vattene, “torna a casa tua” insomma, l’abbiamo fatto quando la Lega stava incominciando a prendere piede soprattutto al nord e c’era questo discorso sempre contro gli immigrati.

Intervista concerto
Concerto, intervista (CantoLibre.it)

[Siamo a casa sua sentendo la musica] “razza cultura nascita nazione / so’addiventate a droga d’a popolazione / fattallà nunn’e capito fattallà / fattallà insieme a nuje nun può campà / fattallà cho! manco pe’ nuje nun ce ne stà / che ce ne fotte si te puzze ‘e fame si te morono ‘e ccriature /si nun tiene manco ‘e panne / / fattallà fattallà chesta è a nova civiltà / nun ce sta spazio manco p’a diversità / tutte ‘nzerrate anche a costo di sparare / ind’a stu serraglio monoculturale nord e sud nord e sud / simmo tutte quante uguali / pe’mmezo ‘e stu sistema che ce ha fatto a tutti schiavi / e allora è venuto ‘o mumento e ce ammiscà costruì / na società che nun dice / fattallà pecchè ccà nun ce può stà…”

La canzone è antifascista allora?

Antirazzista. E ancora prima abbiamo fatto “Figlio di Annibale” sullo stesso tema. È un discorso che fece già Malcolm X, dice agli Italiani, guardate che pure voi che fate i razzisti contro i neri, pure voi siete dei bastardi. Annibale è stato in Italia, aveva superato Roma con l’ intenzione di tornarci e attaccarla però si fermò un sacco di tempo a Capua e lì, chiaramente c’era la mozzarella, le donne, ecc. [ridiamo], noi l’abbiamo usato come provocazione per andare contro la purezza della razza, queste cazzate qui. Annibale era africano, cartaginese, non ci interessa il fatto storico, il pezzo dice che noi Italiani, siamo tutti figli di Annibale, per cui non possiamo fare i razzisti noi perché siamo il frutto di incontri diversi, di origini diversi :

“ecco perché molti italiani hanno la pelle scura, ecco perché molti italiani hanno i capelli scuri, ecco perché molti italiani hanno gli occhi scuri, ecco perché molti italiani hanno la pelle scura. Un po’ del sangue di Annibale è rimasto a tutti quanti nelle vene. Ecco perché Ecco perché Ecco perché Ecco perché noi siamo figli di Annibale, noi siamo tutti quanti figli di Annibale … meridionali figli di Annibale, sangue mediterraneo, figli di Annibale. Figli di Annibale, sangue di Africa ”

Questo è uno dei primi pezzi che ha avuto un certo seguito. “Annibale” sta nel primo album, Anima migrante, tra l’altro è uno dei pochi pezzi in italiano, non in napoletano. Poi in dischi successivi abbiamo ripreso questo discorso : Athena è il nostro simbolo, è una dea fenicia della fertilità, pure cartaginese, e lo trovi in Sicilia, in Sardegna… Quindi questo altro pezzo, “Black Athena”, si collega col discorso di Annibale : trovare le tue radici, da dove vieni, perché chiaramente nel mediterraneo quando mai c’è sta questa purezza della razza….

Fattallà e Black Athena sono due dei quattro pezzi remixati per Dub Box Vol.1 – One World.

Poi ce ne sta un’altro, “Gramigna” che non ha implicazioni politiche dirette. La gramigna è un’erba selvaggia, se tu vuoi coltivare una cosa utile, la togli, è l’erba cattiva alla fine insomma, quella da eliminare, ma serve comunque a rigenerare. È soprattutto un fatto individuale di insofferenza rispetto ai giudizi altrui e quindi col desiderio di fare quello di cui tu hai bisogno, che tu hai in mente insomma di fare, ok ? : “lassame sta’ nun me tucca’ lassame sta’ nun me ‘nquita’ chesta / È a vita mia e voglio campa’ comme dico io.”

Tutti i quattro sono in napoletano?

Sì : “Fatallà”, “Gramigna”, “Black Athena” e poi ci sta ancora un’altro pezzo, “WOP”, che è un po’ in napoletano e un po’ inglese maccheronico, un po’ in italiano, Non appartiene alla nostra produzione ma stava in un disco solista del nostro cantante, Raiz. WOP è l’acronimo di With-Out-Passport, come chiamavano gli italiani negli Stati Uniti. Pure qui ancora una volta viene affrontato il tema dell’antirazzismo. Inizia con lui che parla un po in “broccolino”, l’inglese con accenti dell’Italia meridionale, dei primi italiani che abitavano Brooklyn e che appena arrivavano venivano considerati wop in senso dispregiativo perché erano senza passaporto, “sans-papiers”. Clandestini, senza permesso di soggiorno :

“w.o.p. yes this is me / I’m without papers but I feel free / free to be whoever I wanna be / don’t call me any other way than human being […]

sogno italian, nuje simmo tutti ammiscati, tu che ce vuo’ fa? Simmo ‘e pate ‘e tanti figli, forse è chesta ‘a verità… So’ francese, i so’ spagnolo, sogno pure ‘mericano, faje cchiù ampresso chiamarme napulitano […]

Italian io sono Italian / amo questo paese un altro più bello non ci sta / Italia mia nuova Italia / fatta di India Marocco Albania Colombia Senegal / non ti ricordi qualche anno fa /i tuoi parenti se ne andarono da qua / a cercare per il mondo un poco di felicità / non si puo’ fermare chi la vuole e non ce l’ha !”

La tua band è storica, non c’è bisogno di presentarla ma forse appunto ricordare un po’ la sua storia.

Il gruppo è nato all’inizio degli anni novanta, c’erano un po’ di locali a Napoli, c’era Officina 99 dove si andava a suonare, c’era un locale piazza Dante che si chiamava Notting Hill che era specializzato per roba reggae e africana e noi facevamo un concerto al mese o ogni quindici giorni, un fatto fisso, senza ancora nessun disco, e ogni concerto che facevamo arrivava sempre più gente. E poi da qui un collaboratore di un discografico che stava a Roma, gli mandò la cassetta e questo qua ci fece fare il primo disco. Era pure in quel caso quattro pezzi pero’ su CD : era un periodo in cui ancora trovavi produttori disponibili a investire sul tuo lavoro, per cui noi siamo andati a Roma in uno studio e in 4 o 5 giorni abbiamo registrato 4 brani. L’EP fu accolto molto bene, pure le radio della RAI lo passavano.

Quelli primi quattro pezzi sono stati il primo CD vostro.

Sì. Poi, nel 93 abbiamo è uscito il primo album completo, Anima Migrante, che è la traduzione di quello che significa Almamegretta in latino volgare : e già questo ti fa rendere conto che il progetto è basato sulla contaminazione tra varie culture. Tutto nasce dall’ascolto fatto spesso qui, a casa, di dischi che ci piacevano, e ci siamo resi conto che c’erano dei dischi o di reggae o di musica africana in cui la linea di canto ci ricordava molto il napoletano e la melodia napoletana. Per cui abbiamo pensato che questo tipo di musica, ritmo reggae, sempre di origine black, black music, poteva funzionare bene col napoletano. Poi certo, non è una cosa che abbiamo inventato noi perché già nel dopoguerra c’è stato Carosone che ha fatto dei pezzi in napoletano con un ritmo swing, perché nell’immediato dopoguerra la presenza americana cominciava a sortire i suoi effetti. Tra l’altro il jazz sotto il fascismo era proibito quindi poi c’è stata questa esplosione, l’apertura al mondo, l’influenza americana con le loro sigarette, la coca cola, il cinema, la musica jazz e poi il rock’n roll. E quindi in seguito ci sono stati vari gruppi che hanno fatto questo tipo di commistione, per esempio James Senese con Napoli centrale, oppure Pino Daniele, ma l’elenco sarebbe lungo.

Pino Daniele, ma veramente?

Sì. Pino Daniele, musicalmente si rifa a molte cose della musica americana però innestata in una melodia napoletana. All’inizio il suo repertorio era tutto in lingua napoletana, c’era ben poco in italiano. Vabbè, noi invece sta cosa l’abbiamo applicata più o meno al reggae e quindi abbiamo iniziato a suonare, la cosa funzionava, abbiamo fatto i primi dischi, abbiamo pure venduto parecchio. Sanacore, come Lingo, il nostro terzo album, hanno venduto 70-80 mila copie ciascuno. Quindi qualcosa guadagnavi con i contratti discografici, noi abbiamo firmato con la BMG che era ex RCA, era tutta un’altra situazione, c’erano le case discografiche che comunque erano disposte a investire parecchi soldi.

E adesso?

Noi abbiamo vissuto l’ultima fase di questo. Mo’ i dichi noi spesso li facciamo a casa [etichetta discografica propria Sanacore Records creata nel 2003]

Quindi avete proprio assimilato tanto per creare il sound Alma.

Bisogna dirlo. Noi ci siamo formati su determinati dischi senza i quali non esisteremmo proprio. Poi è capitato che ci siamo trovate a collaborare con artisti che questi dischi li aveva prodotti, è stato proprio importante. Abbiamo fatto un remix di “Karmacoma” per Massive Attack [Album Protection]. Abbiamo affidato il missaggio e i dubs di Sanacore, di Ennene Dubs [ultimo CD, uscito nel 2017] al produttore Adrian Sherwood di On-U sound, l’etichetta di Londra che è stata un crogiolo molto importante : nasce dall’ incontro, molto interessante, tra il movimento punk e i rasta londinesi e ha prodotto tutta una serie di dischi molto sperimentali in cui il dubb era molto al centro, inteso proprio come musica di incontro di culture diverse. Oppure l’altro versante, il dub americano, Bill Laswell, di New York che ha remixato “Ruanda”, un brano tratto da “Sanacore”: ne viene fuori “Glossolalia Dub”e ha suonato il basso in Lingo. Insomma ci siamo trovati a collaborare con quelli lì che sono stati i nostri ispiratori.

E quando dici “noi”, all’inizio, eravate in tre?

Il nucleo di base era costituito da quattro persone. Raiz, Paolo Polcari, Stefano Facchielli (aka D.RaD. cioè Demon Radical), ma ci siamo sempre considerati un collettivo aperto, in cui si sono avvicendati numerosi musicisti in tempi diversi.

Adesso siamo in tre, perché purtroppo Stefano, che era molto importante per il nostro sound, ha lasciato questa vita nel 2004 a causa di un incidente in scooter a Milano. Lui era bravissimo, era il nostro geniale soundman e dub-maker. Abbiamo perso un contributo umano e artistico molto molto importante pure perché il nostro lessico, il nostro linguaggio è incentrato sul dub, che è una musica particolare sempre di origine giamaicana e partorita in ambito reggae. Nasce in Giamaica alla fine degli anni sessanta : quando facevano i singoli, un disco 45 giri, per il lato B, invece di mettere un’altra canzone diversa, utilizzavano una version dello stesso brano. Rimaneva sostanzialmente basso e batteria e ogni tanto facevano entrare e uscire gli altri strumenti o la voce con l’aggiunta di effetti tipo eco, riverbero, ecc., effetti che ti danno un’ambientazione molto, secondo me, “drogata”, perché è una cosa che ti porta a una dimensione estraniante e allucinata.

Avete il vostro pubblico pure dall’inizio?

Il nostro momento migliore è stato metà anni novanta. Nel 95, quando è uscito Sanacore, abbiamo chiuso un tour di un’ottantina di date con un concerto gratis al porto davanti a un pubblico di 30.000 persone, da cui è stato ricavato un DVD che si può guardare anche su YouTube. Nella prima metà degli anni 2000 però la situazione del gruppo si è alquanto incasinata. Raiz è andato via per fare la carriera solista, tornando dopo qualche anno e c’è stato questo colpo tremendo e dolorosissimo della morte di Stefano. Nonostante ciò la band ha sempre continuato a fare dischi e concerti.

Il nostro gruppo comunque nasce anche da una situazione politica e sociale. In Italia negli anni 90 c’è stato un movimento di studenti che si chiamava la Pantera, è stato una delle ultime conseguenze del 77 e se vuoi del 68. Officina 99 è stata occupata in questo contesto, il nostro cantante ne faceva parte e ha partecipato all’occupazione. Il progetto Almamegretta in qualche modo è quindi collegato a un movimento politico dal quale è nata pure l’effervescenza musicale degli anni ’90, perché come al solito la musica non è fuori dalla realtà. La nostra musica è musica di strada, musica popolare nel senso moderno, non folk. Non facciamo politica in maniera diretta, gli slogan non ci interessano, però, vedi, trattiamo le cose in modo molto trasversale.

La prima tappa del Tour 2018 della band sarà l’11 maggio a Pistoia. Quali sono le novità ?
Venerdì teniamo un concerto a Pistoia, perché partendo da questi quattro pezzi che abbiamo fatto, stiamo portando un altro progetto sul palco, che è una commistione di macchine e suono, cioè computer e strumenti veri : soprattutto batteria e voce, e in più ci sarà pure con noi sul palco Brother Culture un MC e cantante inglese di grande impatto ed esperienza. Verrà quasi sempre in tour con noi, viene dal giro reggae e dub londinese e ha collaborato con numerosi artisti importanti di questa scena. Il tour è con una band più ristretta rispetto al passato, si chiama Dub Box: voce (Raiz) tastiere (Paolo Polcari) , batteria (Gennaro T), live dubbing (Albino D’Amato), computer.

Possiamo annunciare un calendario di concerti ?

È ancora presto. Il calendario è ancora in fase di definizione.

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