Due dei più prestigiosi marchi italiani si trovano al centro di una controversia che rischia di macchiare seriamente la loro reputazione.
Un’indagine condotta dai procuratori italiani a Milano ha portato alla luce pratiche sconcertanti legate alla produzione delle loro borse, vendute a migliaia di dollari, ma prodotte a costi irrisori.
Questo scandalo mette in luce la necessità urgente per il settore della moda luxury italiana, noto globalmente come simbolo indiscusso d’eccellenza, di riflettere profondamente sulle proprie pratiche produttive ed etiche al fine salvaguardare non solo la propria immagine. ma soprattutto il benessere dei lavoratori coinvolti nella catena produttiva.
Le accuse pesanti contro le due aziende italiane
Dior, parte del colosso LVMH, è stata accusata di aver utilizzato fornitori terzi che sfruttano i lavoratori pagandoli solamente 57 dollari per borse poi vendute al dettaglio per 2.780 dollari. Questa discrepanza abissale tra costo di produzione e prezzo finale solleva interrogativi non solo sulla gestione della catena di fornitura da parte dell’azienda, ma anche sulle condizioni lavorative dei dipendenti dei subappaltatori. Molti lavoratori impiegati da queste aziende cinesi erano senza documenti o illegalmente nel paese, costretti a dormire nelle strutture produttive per accelerare i tempi di produzione in condizioni precarie.
Anche il marchio Giorgio Armani non è esente da critiche. Accusato anch’esso di scarsa supervisione sui propri fornitori, ha pagato 99 dollari per borse che poi venivano vendute a oltre 1.900 dollari. A differenza di Dior, Armani ha prontamente risposto alle accuse collaborando con le autorità e dichiarando di aver già adottato misure stringenti per assicurarsi che tali abusi non si ripetano in futuro.
Queste rivelazioni hanno suscitato indignazione sia tra i consumatori sia all’interno dell’industria della moda stessa. Fabio Roia, presidente vicario del tribunale di Milano, ha evidenziato come queste pratiche rappresentino un maltrattamento delle persone oltre che una forma grave di concorrenza sleale nei confronti delle aziende che rispettano le regole.
LVMH ha dichiarato attraverso un memo sui miglioramenti della catena di fornitura la propria intenzione ad agire concretamente contro questi fenomeni.
La strada verso il recupero della fiducia perduta sarà lunga per entrambi i marchi coinvolti in questa controversia. Bernard Arnault e Delphine Arnault (CEO rispettivamente del gruppo LVMH e Dior) si trovano ora davanti alla sfida non solo legale, ma anche etica ed economica derivante dalle accuse mosse contro le loro aziende.